30 giugno 2008

Troppo peso alzare una testa randagia. Distrutti gli scarafaggi,
nelle vecchie cantine i ladri di frumento amalgamano
il pane. Cristalli sudore, immaginazione,
graffito. Le facce intorno digrignano, maschere del Valentino.
Evacua una rovina dai porifumosi a la luna
in convogli di cenere. Rimastico di gomma questa corsa,
inutile forare la notte perché la parete si spiani. Tramonto
senza il ranno che insegue carene scrostate dal mare: la voce,
nido-di-formiche scava sotto gli alberi nelle aiole,
dove corolle i grandi negozi anneriscono a sera.
Ritmo schiumoso, le ombre le parole girano invischiate
in un ramo secco. Lungo coltello dell’alba. Se ricerchi poesia
devi conquistare nemici.
Fabio Doplicher, I giorni dell’esilio, Manduria, 1975.
*

Il pensiero positivo

che tutto era cominciato con quella storia del tronco del fico che diveniva altro
identificato nell’oggettivazione concreta o complemento a una scaramantica devozione

e poi si era passati a considerare che nella sacra iconografia nosocomiale
il santo dalle gote romanzate si era accresciuto di gran numeri mentre in ogni sala
sia convegno o mensa ristoratrice, la Sacra Cuoca Azzurra
andava ricoprendosi di rosari “come fossero lucchetti su lampioni”

e poi era uscita fuoril'altra storia di quel tale che in definitiva
aveva evidenziato un chiaro semplice lampante, un banale elementare
disturbo neurologico, dovuto – chissà
allo scontato problema della dolorosa trasfigurazione dell'infanzia
insomma una dislessia di tipo certo ed ovvio squisitamente emozionale
che a leggere al contrario non risultava essere stato usato un grande scernimento

- fantasia del verbo “ozpetecare” –

e poi si era finiti fino al fuori del ragionamento sulla fine di quel principio
del fattivo tattile per cui ogni atto diventava “tipo un attrezzo”
scagliato al barilozzo dell’evoluzione che da elefante a liocorno
ritornava indietro ed era quindi ancora chiaro a tutti che il concetto
si infrangeva nella solita duale convinzione

alcune cure possono generare discronia poiché pur cominciando
il tempo della guarigione questo non appare ancora presente.

Amici, quanto ho riso.
*

Paura

Non di neviere deserte su ondosi
altipiani di scisti e di calcari
né di trarupi e vette
verso lo zenit agili d’eterno
ardimento, ho paura;
ma delle oscure convalli
e dell’orrendo splendore dei boschi
tra le fiancate ruinose. Brulica
ivi d’insetti e di gridanti uccelli
una continua appassionata vita,
gemono al vento i larici, gli sterpi
s’intricano nei massi, acque inquiete
docciano assiduo pullulio tra i muschi,
e mentre uggito da foschi riverberi
lo sguardo lungo e disperato cerca
invisibili valichi,
religione ivi conturba l’uomo.
Tino Richelmy, L’arrotino appassionato, Torino, 1965.
*

18 giugno 2008

Libro Primo

III. Nessuno è perfetto
(…)
La prova dei fatti smentisce chi disse che uguali
sono tutte le colpe: lo negano la tradizione e il buon senso
e l’utilità stessa che, in fondo, è la madre del giusto.
Quando apparvero gli uomini in terra, gregge deforme
di bruti senza favella, per un pugno di ghiande
e un giaciglio si combattevano, prima con l’unghie
e le mani, poi coi bastoni, infine con le armi; finché
inventarono parole per dar nomi a cose e sentimenti;
bandita fu così la violenza, sorsero mura e città,
si fecero leggi perché non vi fossero furti, assassini o adulteri.
Fu infatti la donna, ancora prima di Elena, ragione
di guerre funeste; ma non resta memoria di quelli
che trovarono morte feroce mentre cercavano amplessi proibiti,
dal rivale più forte travolti, come gregge dal toro.
Se ripercorri la storia del mondo, scoprirai che le leggi
furon fatte per questo: per timore del sopruso.
Perché la natura distinguer non sa tra il giusto e l’ingiusto,
come sa invece tra il bene e il male, tra ciò che è opportuno
cercare e quello ch’è meglio fuggire. Né la ragione
saprà dimostrare che ugualmente colpevole è chi devasta
l’orto del vicino e chi profana le tombe di notte.
Vi sian dunque leggi capaci di comminare pene proporzionate
alle colpe, perché tu non debba a sangue sferzare chi merita
pena più lieve. Non mi preoccupa invece che tu sia clemente
con chi ne ha fatte di grosse, poiché sostieni
che furto e assassinio son crimini uguali e minacci
di pareggiare tutte le erbacce con la stessa falce,
se a regnare tu fossi chiamato. Ma dimmi,
se solo il sapiente è sovrano, ricco, beato e perfino
abile ciabattino, perché vai in cerca di ciò che hai di già?
“Ignori – rispondi – quel che disse il maestro Crisippo,
che il saggio non fece mai scarpe né suole,
ma pure è buon calzolaio”. E in che modo?
“Nel modo che Ergemone, anche se tace, resta
eccellente cantore e Alfeno, lasciati il negozio e gli attrezzi,
rimane valente becchino; perché solo il saggio
di tutti i mestieri è bravo artigiano, egli solo è sovrano”.
Ma intanto i ragazzi ti tiran la barba e ti prendono in giro;
se non mostri il bastone ti s’affollano intorno e, poverino,
ti fanno scoppiare tra grida e insulti, te primo fra tutti i sovrani.
Concludo: contentati tu, coronato, dei bagni
da qualche quattrino, compagno il grullo Crispino; a me,
sempliciotto colto in fallo, perdòno daranno gli amici più cari.
In cambio, e con grazia, non me ne avrò
per le loro mancanze e sarà più felice
la mia vita dimessa che la tua di monarca.
Orazio, Cinque satire sulla saggezza del vivere, Torino, 1991.
La traduzione è di Gavino Manca.
*

10 giugno 2008

VIII.

Poche sillabe occorrono al poeta,
o Dioniso, quando è fortunato:
“Ho vinto” esclama. Non dice di più.
Ma chi tu non ispiri con favore,
se gli si chiede “Come è andata?”
“È triste”, dice, “quel che mi succede”.
Sia questa la risposta del malvagio:
la mia, o dio, quella di poche sillabe.
Callimaco, Epigrammi, Torino, 1990.
*

9 giugno 2008

Parti del discorso

Ci sono storie che non vogliono essere narrate.
Se ne vanno, portandosi valige
Tenute insieme da un cordino grigio.
Guarda le loro schiene ricurve che scompaiono.
Gobbe. Ferite. Sacche da viaggio.

Ci sono storie che rifiutano di essere danzate o mimate.
Gettano via i bastoni scorticati
e le scarpe rumorose da tip tap,
cancellano le loro tracce dalle filastrocche
o da giochi antichi come mosca cieca.

E in questo luogo macchiato le parole
sono raschiate via da lingue resinose,
strizzate come panni appesi ai fili
del tribunale o del confessionale,
tradotte nel gergo dei verbali.

Perché ancora credere che le storie possano levarsi
in volo, su correnti, come argentei segnali luminosi
levitare, alleggerite delle pietre,
cominciare nel dolore e tendere alla grazia,
ventilando la storia col fiato ritrovato?

Perché ancora immaginare parole intere, mondi interi:
lo scoppiettio delle consonanti,
vocali come anemoni marini,
sintassi di cordone ombelicale, rime che cominciano nel cuore,
e verbi, verbi che muovono montagne?

Ingrid De Kok, Mappe del corpo, Roma, 2008.
*
a me piacciono Amy Winehouse e Max Gazzè.
*

Gāthā di Xuedou

Uno, sette, tre, cinque:
La verità che ricerchi non può essere compresa.
Mentre la notte avanza, una luna splendente
Illumina tutto l’oceano;
I gioielli del drago si trovano in ogni onda.
Cercando la luna, è qui,
In quest’onda, nella successiva.
Xuedou Zongxian, La Raccolta della Roccia Blu.
*

Di cosa si tratta

Si tratta di tornare da luoghi
dove mai siamo arrivati. Di pensare
pensieri cosí a lungo sopiti
da essersi ormai inabissati.
si tratta di cogliere con grata
sorpresa minuscoli fiori di campo,
di estrarre essenze infinite
da specie ordinarie lasciate
stupidamente a languire davanti
alla porta. Di cominciare a vivere,
ecco si cosa si tratta.
Franco Marcoaldi, Il tempo ormai breve, Torino, 2008.
*

8 giugno 2008

AGGIUNGERE AI "MITI FEMMINILI"

Hillary Clinton.
*

Una lunga sfilata di monti
Mi separa dai diritti
Pensavo l'altro giorno osservando
Il lago Maggiore e le Alpi
Nel volo tra Roma e Parigi
(Dove dal 1996 un single può adottare un minore).
Da Barcellona a Berlino oggi in Europa
Ovunque mi sento rispettato
Tranne che a Roma e a Milano
Dove abito e sono nato.
Franco Buffoni, Noi e loro, Roma, 2008.
*

6 giugno 2008

.

“E come potrebbe sorprendermi che da tale esperienza sorgesse la creazione poetica?
Era predestinato così, non era propriamente necessario; una volta è stato cosí,
non c’è garanzia per nessun’altra volta.
Certo; ma la Poesia bisogna cercarla dove si sa che c’è, avevo scritto io stesso anteriormente:
aspettazione, come la verità, con la quale è unita; come la fonte più nascosta e più pura,
verso cui apre il cammino la sete; come l’Amore, al quale ci si avvicina amando; come Dio,
che s’ama in chi impara ad amarsi. E per esercizio, asceticamente – le due parole
si equivalgono – compii lo sforzo volto a trovare la poesia – volto a trovare l’ineffabile
conoscenza concreta, singolare, intima di me stesso: in un dato momento di tempo,
in un dato luogo della terra e su una fede e una speranza date. Nella misura in cui,
venuto da un altro momento e da un’altra parte, io ero allora lì, e dato che c’ero per aver detto liberamente di a certe determinate cose che consideravo in accordo con la mia condizione
e detto di no ad altre che giudicavo contrarie a essa. E nella misura in cui desideravo
per quella preziosa conoscenza un’espressione nella lingua, da cui, mia, fra quelle esistenti e possibili,
a causa della mia personale incarnazione e dal mio primo giorno,
ero andato ricevendo forme per i miei sentimenti e per i miei pensieri,
e con i cui mezzi avevo appreso a rifare per me l’universo che mi tiene e
a costruire la Città che, militante e trionfante insieme, posseggo in idea.”
Carles Riba, Introduzione alla II edizione, id.
*

IV.

Pura nella solitudine e nell’ora lenta, un donna
fa scivolare, con moto di albero o di grido amoroso,
dolce, lungo le braccia innalzate, la tunica. Mentre
già brilla il busto segreto, in alto, prigioniera del lino
rimane la testa. Un attimo o due. Ah! Basta per rompere
foscamente il legame fra la bella e questo
timido giugno che da lei attendeva, nuda nell’onda,
gioia ed impulso fluviale per farsi perfetto? È bastato
dato che tu, imponderabile cosa di oro e di sguardo,
testa, fiore dritto, ne sorgi indecisa – come temendo
il nulla del silenzio ora, complice fausto di prima?
Un cuculo canta d’improvviso, innocente.
Lei sorride. Torna a scorrere il sangue giovane del mondo,
salta, brusco, come la magnifica, e corre avanti nel tempo
verso soli più maturi – e lei nuota, oh ritmo!
verso l’estate eccessiva – lei e i miei occhi e gli dei!
Carles Riba, Elegie di Bierville, Torino, 1977.
*