11 novembre 2007

Postille

Il poeta… C. Z.,
stanco della vita mondana,
non sognò più che una mèta:
la vita tranquilla.
E si ritirò
in una sua bellissima villa
in Toscana.
Solo, colla sua servitù,
si rinserrò là dentro
per non uscirne più.

I suoi servitori
vestivano, a festa di dentro,
a lutto di fuori.

A lato del cancello,
al posto del solito cartello
e del solito nome col solito campanello,
vi fece murare, come coi morti s’usa fare,
una lapide bianca, di marmo,
su cui era scritto così:
Qui vive
sepolto
un poeta.

E vi si seppellì.

Ma il giorno seguente
due camerieri
accorron dal loro signore
affannati e stravolti.
- Che c’è?
- Signore!
- Signore!
- Sapete?
- Sapete?
- Che cosa?
- Là fuori, al cancello…
sul marmo ov’è scritto: qui vive,
sapete? Accanto alla parola: poeta
C’è scritto…
- C’è scritto?
- Una brutta parola signore.
- Sentiamo.
- C’è scritto… imbecille.
- Oh!... Dio…
(Sarà forse passato
un mio compagno antico,
qualche collega, qualche vecchio amico)
Restate tranquilli,
non son che… postille…
- E sotto, piccino, piccino,
c’è scritto: cretino.
- (Ormai giunto alla mèta
non voglion risparmiare
neppure l’ultimo verso
al povero poeta)
Restate tranquilli,
non son che postille,
lo scrivon più o meno a tutti i cancelli
di tutte le ville.
- Signore!
- Signore!
- Avanti, sentiamo.
- In grande su in cima,
vicino a: qui vive, c’è scritto: un pazzo,
e dopo la parola: poeta, c’è scritto: del cazzo.
- Postille! Postille!
- E dopo: coglione,
c’hanno scritto col carbone.
Vivo o morto è lo stesso,
caro poeta,
sarai sempre un fesso
.
- (E’ l’eco del mondo dove più non vivo,
Sono i vari pareri sul libro che non scrivo).
Restate tranquilli v’ho detto.
- Nell’angolo in lapis violetto:
Quale insperata mèta!
un manicomio sì grande,
per sì piccolo poeta!

- (Postille al frontespizio
del libro che non scrissi,
dell’ultimo poema
che solamente vissi)
- Buffone!
- Ruffiano!
- Maiale!
- Dopo la parola poeta.
- Benone!
(Mi giungono le voci quassù
come se leggessi il giornale
che non leggo più)
- Stupisci o passeggero!
Per un pazzo solo
Un manicomio intero!
- Questa è la tomba
del poeta bomba.

- E in lapis copiativo…
- E in lapis copiativo?
- Pederasta passivo.
- Ma bene, benone!
- Dovranno lavare col sangue
gl’insulti, i signori passanti!
- Sapremo appostarci e col nostro pugnale
ficcargliela in gola,
ad ognuno,
la propria parola.
- Pianino, pianino ragazzi,
pianino col sangue!
Tenete la chiave dell’armadio grande,
prendete il bacile d’argento
a putti e ghirlande,
(serviva a nettare le labbra e le dita
dei convitati alla fine dei pranzi
quando il poeta era in vita)
dell’acqua, una spugna,
ed ogni mattina,
nella vostra opera di pulizia
il primo lavoro sia quello:
lavare bene bene la lapide al cancello,
senza sgarrare,
non c’è altro da fare.
- Col sangue
dovranno lavarla i passanti!
- Col sangue!
- Mi sembra che l’acqua
sia un lavacro più spiccio,
col sangue, miei cari,
finireste per fare
un curioso pasticcio.
- Vigliacchi! Sfregiare una tomba!
- Insultare un sepolto!
- Lo sanno lo sanno
che sotto quel marmo c’è un morto che ode,
non spunterebbero il lapis con tanto affanno,
o avrebbero lode;
i morti, di solito, li lodano molto
o li lasciano in pace;
prima della parola: sepolto,
là fuori, c’è scritto: qui vive, non giace.

Già i morti di fronte,
giganteschi santi
dai manti turchini
che gli scendono giù ampi
in morbidi inginocchiamenti,
s’apprestano a cingere l’aureola abituale,
e immobili nei loro inchini
aspettano il passaggio del sole.
Tremulano nell’aria
Gli ultimi gorgheggi degli usignoli.
I rami sporgenti dai muricciuoli
scuotono rosei fiori
sulla via bianca polverosa
della campagna silenziosa.
Due servitori in livrea di strettissimo lutto
aprono un grande cancello.
E con spugna e bacile
lavano bene bene un cartello di marmo
dappertutto.
Guardan dipoi su e giù per il viale
a dritta e a manca
prima di rientrare:
“la lapide è bianca,
signori passanti,
la vostra parola ci manca,
avanti! avanti!”

Aldo Palazzeschi, Poesie, Vallecchi, 1925.
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