5 dicembre 2007

Sui limoni

La tenerezza
(…)
La pioggia ha ripulito questo labirinto
di condomini nuovi, che a scacchiera
e in diagonale si allineano identici,
lucidando le piazzuole incementate,
le aiuole piene di erbacce e i lampioni
a fungo che bianchi illuminano il fango
degli ultimi prati cintati per altre costruzioni,
ma ancora più tetra ha reso questa città
deserta, assurdi questi muri di piastrelle
che, gelidi, sembrano voler nascondere
qualcosa, mascherare dietro la nuova
patina vecchie violenze.

In un balcone come tanti, tra finestre
spente, mi indica la sua casa: solo
una tenda di plastica e, nell’angolo, mossa
da un alito di vento che qui non si sente,
una pianta di limoni, lo differenziano
dagli altri, spogli, o con qualche nero armadio accampato.

Quella pianta che lieve si muove
dice l’ansia di benessere, le cure
di una vita che ha strappato povere conquiste
e ora, sopravvissuta ai geli di un lungo inverno
ricomincia a fiorire, timida timida.

(…)
Improvvisamente solo, si stringono i fili,
le maglie di una rete fatta di corpi
che appaiono e scompaiono nel breve volgere di ore,
ciascuno come un amo che entra dolcemente,
passeggera lusinga, poi strappa dentro
appendendo ad un filo di disperazione.

Ogni corpo la sua legge, un suo codice
che a me storpia la vita, ogni ora come
un tempo infinito lascia un segno: la notte
si perde ammaliata dalle infinite possibilità
di vivere questo tempo esausto e incerto
con una voglia nuova, vecchia come il mondo.

Stefano Moretti, Gattaccio randagio, Einaudi, 1980.
*
Quasi una moralità

Più non mi temono i passeri. Vanno
vengono alla finestra indifferenti
al mio tranquillo muovermi nella stanza.
Trovano il miglio e la scagliuola: dono
spanto da un prodigo affine, accresciuto
dalla mia mano. Ed io li guardo muto
(per tema e non si pentano) e mi pare
(vero o illusione non importa) leggere
nei neri occhietti, se coi miei s’incontrano,
quasi una gratitudine.
Fanciullo,
od altro sii tu che mi ascolti, in pena
viva o in letizia (e più se in pena) apprendi
da chi ha molto sofferto, molto errato,
che ancora esiste la Grazia, e che il mondo
- TUTTO IL MONDO – ha bisogno d’amicizia.

Umberto Saba, Antologia del “Canzoniere”, Einaudi, 1963.
*
A me è piaciuta la lettura di Roberto Herlitzka.
*

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