30 maggio 2008

“(…)
Mi si anticipava: non potevo restarvi. Era stato necessario appunto
che la morte mi fosse negata da quella brusca rivelazione quasi sensibile,
affinché io avessi il coraggio di riprendermi e di vivere ancora.
Il coraggio di accettare la mia concretezza nel mondo e nel tempo,
che sarebbe, trascesa, la mia concretezza nell’eternità.
Come se fosse imprescindibile un riconoscimento formale,
in una data computabile e in un luogo specifico.
“Moriamo soli”, si è detto in una frase di spaventosa economia;
sì, soli, ma pieni di tutto ciò che ci sia stato possibile convertire,
da fuori a dentro, in possesso spirituale e in sostanza di valore.
È cosí soli e pieni che pure viviamo. E che pure dobbiamo salvarci:
sopravvenuto il punto di maturità, distaccarsi; più esattamente,
essere colto: come un frutto, che rende la sua finale acquiescenza
a Chi ne ha preparato, dalla prima semenza, la complessa e generosa crescita.

Gli antichi lo sapevano già. “Diventa ciò che sei”, “Conosciti in ciò che sei”; i due precetti, su piani distinti, si collegano e si completano. Tutta l’essenza
dell’umanesimo in quanto principio di vita morale e di attività di coscienza è
contenuta in essi; l’uno e l’altro implicano un’affermazione di libertà,
un invito alla ricerca di se stesso e alla virtù: tutto ciò, insomma,
che costituisce “l’eminente dignità” dell’uomo. Orbene: quel ritorno
alla realtà profonda di me stesso, alla mia anima e al mio pensiero,
alle ragioni per cui sono l’uomo che sono e che desidero essere,
all’interno della mia vita personale, nominativa, al cuore della mia
persistenza e al centro dove convergono i legami con tante cose terrene
che collaborano al mio divenire – quel ritorno alle basi divinamente forzato,
mi si passi l’espressione, da cui sono sostentato e nutrito e da cui
dovrò sempre partire nuovamente verso nuove conquiste, quella rara
esperienza vivificante, insomma, che forse non ci è concesso di fare
se in qualche modo non l’abbiamo meritata, come potrebbe essere assurdo
che la definissi umanistica, se il suo carattere religioso,
che non ho vacillato ad attribuirle,
vi è incluso il più ampiamente fin dal principio?
Carles Riba, Introduzione alla II edizione, id.
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